Consiglio di Stato: il Porto Vecchio di Trieste è Italia a tutti gli effetti
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- Categoria: Uomini e diritti
- Pubblicato Mercoledì, 16 Maggio 2012 22:28
- Scritto da Tiziana Melloni
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ROMA - Con la sentenza n. 201202780 del 15 maggio, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello 4473 del 2010 per la riforma della sentenza del Tar del Lazio, proposto dall'Associazione Porto Franco Internazionale di Trieste e Logistica Portuale, dalla s.r.l. Alberti, dalla s.r.l. Vecchietti e Revini-Trasporti e Spedizioni Internazionali, dalla s.r.l. Levante (succeduta alla s.r.l. Quadrante) e dalla s.r.l. Adriatic Finance & Trade contro la Regione Friuli Venezia Giulia, il Comune di Trieste, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e l’Autorità Portuale di Trieste.
Il Tar aveva respinto la pretesa di "extraterritorialità" avanzata dalle società che avevano fatto ricorso.
Così si legge nella sentenza:
«Con dovizia di argomentazioni, anche di carattere storico, le appellanti hanno affermato che:
- le aree del ‘Porto Vecchio’ sarebbero qualificabili come un “bene territoriale internazionale” e non meramente demaniale, sicché sarebbe nullo l’atto che ha disposto la pianificazione delle aree medesime;
- dovrebbe essere mantenuto senza limiti di tempo il porto franco, anche perché l’art. 12 della legge n. 84 del 1994 ha fatto salva la disciplina vigente in tema di porto franco, nella quale non sarebbe ammessa la creazione zone speciali sotto la sovranità di uno Stato (ai sensi dell’art. 3, comma 2, dell’Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi), dovendosi riscontrare una vera e propria limitazione della sovranità dello Stato.
Così riassunte le articolate deduzioni delle appellanti, ritiene la Sezione che esse vadano respinte.
Come ha correttamente osservato il TAR, le limitazioni della sovranità dello Stato italiano – conseguenti alle vicende che hanno condotto alle pertinenti disposizioni del Trattato di Pace di Parigi, al Governo Militare Alleato ed al Memorandum di Intesa del 5 ottobre 1954 (che aveva constatato l’impossibilità di applicare concretamente le medesime disposizioni) – vanno considerate completamente superate a seguito del Trattato di Osimo del 1975 (divenuto efficace il 3 aprile 1977, al momento dello scambio degli strumenti di ratifica), con il quale l’Italia e la Jugoslavia hanno definitivamente disposto la ‘spartizione’ dell’ex Territorio Libero di Trieste, salvo il rispetto di quanto previsto nel Trattato di Pace del 1947 e nel Trattato di Londra del 1974, per quanto riguarda il porto franco.
Tale rispetto, in particolare, oltre ovviamente gli interessi delle minoranze, riguarda la libertà di transito e di commercio, con peculiari franchigie e prerogative fiscali e doganali, ma non preclude l’esercizio dei poteri di pianificazione (da esercitare dagli organi nazionali, in applicazione delle disposizioni di rango costituzionale e legislativo).
D’altra parte, lo stesso Allegato VIII al Trattato di Pace del 1947 ha ammesso che il Territorio Libero di Trieste (cui è subentrato lo Stato italiano in conseguenza del Memorandum di Londra del 1954) poteva emanare proprie ‘leggi’ applicabili nel Porto Franco: il relativo territorio, contrariamente a quanto dedotto dalle appellanti, non può essere considerato in regime di ‘extraterritorialità’.
Ne consegue, come correttamente evidenziato dal TAR a p. 17 della sua sentenza, che il Porto Franco Vecchio va qualificato come una ‘zona speciale’, nella quale sussistono privilegi fiscali e doganali, mentre per il resto sono pienamente applicabili le disposizioni applicabili nell’intero territorio nazionale, ovvero quelle emesse dalla Regione o da altre autorità sulla base delle disposizioni costituzionali e legislative.
Risulta dunque infondata la tesi delle appellanti secondo cui gli atti impugnati in primo grado sarebbero nulli per ‘carenza di poteri o di attribuzioni’ (tesi che, peraltro, non è di per sé prospettabile quando si tratti di tematiche riguardanti l’esercizio della sovranità da parte delle autorità nazionali, rispetto al quale si applica il cd principio di effettività).
La tesi delle appellanti – pur intesa come deduzione di un vizio di annullabilità - neppure risulta suffragata dall’art. 12 della legge n. 84 del 1994, che ha fatto “salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste”.
È decisivo al riguardo considerare che gli atti impugnati in primo grado non hanno inteso incidere sulla ‘disciplina vigente per i punti franchi’ medesimi, ma hanno riguardato la pianificazione territoriale del Porto Vecchio.
Sotto tale aspetto, dal medesimo art. 12, e soprattutto dalle convenzioni internazionali riguardanti l’area in questione, non emerge in alcun modo la volontà delle Parti di ‘fotografare’ i fabbricati esistenti e la loro destinazione, né di incidere in qualsiasi modo sull’ordinario potere di pianificazione del territorio, tipico di ogni paese civile (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 38 del 1966) e disciplinato in via generale dalla legge n. 1150 del 1942, né, tanto meno, si evince la volontà delle Parti di consentire un adeguamento dei luoghi affinché possa esservi la più efficace applicazione del regime introdotto, con la previsione del Porto Franco.
Sotto tale aspetto, non può che constatarsi come non risulti, né sia stata dedotta o comprovata, una reazione di alcuno Stato, a seguito della prassi nazionale – consolidatasi con l’emanazione degli atti impugnati in primo grado – di considerare il relativo territorio come parte integrante del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato italiano».