Scuola & (super) mercato. La dura legge della sopravvivenza
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Venerdì, 25 Settembre 2015 16:57
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – La questione susciterà qualche polemica. Ma corrono tempi duri per tutti. La recessione e la spending review non perdonano, e si e costretti a fare quel che si può. Anche, anzi: soprattutto, per la scuola vale a dire il settore della Pubblica Amministrazione dove l’Efficacia e l’Efficienza devono andare a braccetto con la massima Economicità. In modo speciale dopo “La Buona Scuola”.
È così che, cogliendo l’opportunità offerta da uno Stato sempre più in crisi e obbligato alla scure dei tagli lineari, gli esperti di marketing del settore alimentare hanno escogitato una manovra che più strategica di così non si poteva immaginare.
Ben sapendo che i fondi destinati all’istruzione sono sempre più magri, che gli utenti crescono di numero e che spesso si lamenta una penuria di servizi e di generi necessari al buon andamento della vita scolastica (ad esempio la mancanza di carta, e non solo quella per le fotocopie), alcuni marchi della distribuzione alimentare nazionale e regionale hanno organizzato un’operazione di soccorso.
Di soccorso alle casse delle scuole. Che sono sempre più leggere giacché non tutti genitori sono disposti a sborsare, oltre che ai soldi delle tasse, anche i contributi volontari che i dirigenti chiedono per assicurare i generi di uso quotidiano, sia didattico che igienico-sanitario.
Quindi la proposta che arriva in aiuto agli istituti scolastici prevede un’azione coordinata tra scuola, famiglie, bimbi e supermercati, con la benedizione del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sotto la cui protezione la scuola diventa intermediaria tra privati cittadini e azienda privata ricavandone un utile.
Un’operazione che, in definitiva, altro non è che la solita, vecchia raccolta dei buoni spesa. Ma la novità consiste nell’essere realizzata espressamente per le scuole. Il che prevede un’attuazione un po’ tortuosa: i dirigenti iscrivono la scuola (non a caso, come si vedrà, elementare e/o media, ma anche parrocchie, asili e onlus) sul sito del supermarket. Bimbi e genitori, informati della stipulazione dell’accordo, otterranno una serie di buoni solo se si recheranno a fare la spesa in quel determinato supermarket.
Quindi porteranno a scuola la prova dell’avvenuto acquisto (in genere l’involucro di un gadget che resta al bimbo, una figurina adesiva, il consueto rassicurante bollino…) Scaduti i termini dell’offerta, la scuola compilerà un modulo di richiesta dei premi allegando le prove degli acquisti e, dopo la consegna, firmerà una liberatoria che attesta di aver ricevuto quanto pattuito in modo conforme all’offerta del catalogo.
Solo allora la scolaresca potrà godere di una varietà di supporti che spazia dal cartoncino colorato allo schermo interattivo passando da tutto quanto sia immaginabile possa essere utilizzato da ragazze e ragazzi tra i 6 e i 14 anni.
Le proposte sono attive da qualche anno, ma solo di recente si sono moltiplicate. Segno evidente che il business funziona e che la concorrenza non rimane passiva a guardare la spartizione del parco clienti, e combatte a colpi di gadget.
In effetti, l’iniziativa è prevista sin dal 2001, per la precisione dal decreto interministeriale 44 del 1° febbraio che – all’articolo 41 – recita: “Le istituzioni scolastiche possono concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati. E' accordata la preferenza a soggetti che, per finalità statutarie, per le attività svolte, ovvero per altre circostanze abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell'infanzia e della adolescenza. E' fatto divieto di concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola.”
Rimane da stabilire se una simile proposta, rivolta principalmente ai più giovani tra gli studenti minorenni, osservi e rispetti non solo i termini di legge, ma anche i criteri del buon senso psico-pedagogico.
Dirigere, fidelizzare e conformare all’acquisto – ma soltanto in determinati esercizi commerciali della grande distribuzione - bimbi e bimbe non pienamente capaci di senso critico e inclini a essere condizionati e suggestionati da questo tipo di offerta, può definirsi una “buona pratica”? E la coltivazione dell’autonomia di giudizio che le scuole vantano nell’offerta formativa, l’educazione alla crescita consapevole, l’indipendenza del gusto, la valorizzazione del pensiero divergente dove vanno a finire?
È probabile che illusi dal miraggio di un tablet o di un pallone da calcio, molti bimbi inducano – se non obblighino (si sa come i bimbi sia facili all’emulazione e alla competizione e sappiano ottenere ciò che vogliono…) - i genitori a fare gli acquisti in un esercizio piuttosto che in un altro. Perché risulta difficile – se non impossibile – rinunciare a una lavagna interattiva che è lì, a portata di mano, per “soli” 22.900 buoni, ognuno dei quali ottenibile con 15€ di spesa, per un esborso totale di € 343.500.
Cifre importanti. Certo, ma c’è la soddisfazione di aver fatto del bene alla propria scuola. E in cambio c’è la spesa per tutta la famiglia!
[Roberto Calogiuri]