La parola ai lettori: concorso docenti 2012, solito ritornello e scomode verità
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Martedì, 10 Settembre 2013 08:22
- Scritto da Giuseppe Verde
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Trieste - Inizia la scuola, torna il "balletto" dei professori, come ben sanno gli alunni e le loro famiglie. Ma il "concorsone" non avrebbe dovuto rimettere le cose in ordine?
Ce ne parla un docente triestino, il prof. Giuseppe Verde, in questa lettera giunta il 10 settembre e che volentieri pubblichiamo.
Da circa un anno il mondo dei precari della scuola è scombussolato dalle vicende legate allo svolgersi del concorso per diventare docenti, istituito con il D.D.G. n. 82 del 24 settembre 2012.
Costato all’Erario pubblico più di un milione di euro, avrebbe dovuto concludersi prima dell’inizio dell’anno scolastico 2013\2014, e invece continua tutt’oggi in molte regioni italiane, avvelenato da migliaia di contenziosi giuridici per le tante ambiguità normative, stitiche assunzioni finali, migliaia di futuri vincitori per i quali non ci sono spazi di assunzione.
Nel mentre, come succede da decenni, l’anno scolastico comincia, in FVG come nel resto della penisola, con istituti senza aule, locali diroccati, classi sovraffollate e, soprattutto, senza insegnanti specializzati e senza il rispetto del principio della continuità didattica.
Da partecipante – e vincitore - alla competizione concorsuale, ho riflettuto sull’esperienza fatta e ho deciso di pubblicare queste mie considerazioni perché quanto sta accadendo ha delle ripercussioni sull’intera società, non soltanto per quanto riguarda l’aspetto economico, ma soprattutto per quanto riguarda quello sociale e quello culturale.
La prima domanda che mi sono posto è stata la seguente: ma c’era proprio bisogno di un concorso per assumere nuovi docenti nella scuola pubblica?
Negli ultimi venti anni il sistema di reclutamento dei docenti è stato sottoposto a grandi manovre riformiste. Tuttavia nessuno di questi sistemi ha garantito un reale turnover della classe docente, semplicemente perché l’assunzione a tempo indeterminato è stata, nel frattempo, eliminata.
L’unico risultato reale è stato la creazione di centinaia di migliaia di precari, aspiranti “aventi diritto”, distribuiti in graduatorie parallele, che hanno esautorato lo stesso Stato di Diritto.
Difatti, l’esistenza di più graduatorie parallele, aventi le stesse prerogative seppure generate da logiche diverse e in epoche differenti, è di per sé un’ingiustizia.
Inoltre, per scalarne la vetta non si è più dovuto, democraticamente e meritocraticamente, competere fra pari e in pari condizioni: i fattori discriminanti sono diventati l’essere nato prima (anzianità di servizio), in un territorio demograficamente più attivo (possibilità di lavorare accumulando punti) e in una famiglia che possedeva un surplus di capitale finanziario da investire (possibilità di comprare titoli aggiuntivi).
Insomma, gettare un masso di meritocrazia nell’incancrenito stagno dei privilegi prodotto dalle diverse graduatorie era, a mio parere, un atto politicamente doveroso. Un concorso poteva essere lo strumento corretto. E non poteva esserci momento storico più opportuno del 2012, anno mirabile per numero di pensionamenti previsti e programmati per immettere nuova linfa nel sistema.
Purtroppo la funzionalità e l’efficienza della selezione attuata dalla procedura concorsuale non sono state all’altezza del compito, generando soltanto frustrazioni, sia negli esclusi che nei vincitori.
Bistrattando comunque la costituzione (che prevede che i concorsi siano aperti a tutti), sono stati esclusi a priori i docenti già di ruolo e i neolaureati, non sono stati favoriti i precari storici (gli abilitati), e sono stati ammessi gli opportunisti espulsi dal mercato del lavoro (soprattutto ricercatori universitari e liberi professionisti), che considerano l’insegnamento solamente come la finestra più agevole tramite la quale accedere alla Pubblica amministrazione.
Il “quizzone” preselettivo (oggettivo e quantitativo) di logica, di competenza linguistica (italiano e lingua straniera) e di informatica è stato un ottimo strumento per sgrossare la massa di aspiranti dagli elementi mediocri, facendo in modo che gli esaminatori lavorassero poco ma bene, valutando un numero non eccessivo di prove e tutte aventi un livello almeno discreto (del resto il concorso era bandito per posti limitati e non abilitante).
I quesiti proposti erano finalizzati a una rivalutazione del diploma di scuola secondaria, fattore tutto sommato ragionevole, se si considera la natura collegiale e multidisciplinare della valutazione scolastica contemporanea.
Tuttavia, perché insistere solamente su queste capacità non professionali? Perché non dare soddisfazione piena a tutti, valutando preliminarmente e in maniera altrettanto oggettiva (magari usando una seconda batteria di test simili a quelli utilizzati per le selezioni dei TFA) anche le conoscenze specifiche\disciplinari degli aspiranti?
La seconda e la terza prova sono state viziate nell’essenza dalla lavata di mani del Ministero, che ha dato alle singole commissioni l’onere di sciogliere arbitrariamente un contezioso speculativo pluridecennale: cosa fa di un laureato un docente?
La formazione specialistica data dalla ricerca universitaria, le conoscenze nozionistiche dovute a anni di erudizione in un determinato campo del sapere, le competenze promosse negli ultimi decenni dagli studi di settore (quelle dell’insegnante alla G. Petter, per intenderci, cioè competente anche di psicologia, pedagogia e didattica)?
Vergognose le misere indicazioni fornite: cosa vuol dire essere originali? Proporre qualcosa all’avanguardia, proporre una propria idea sull’argomento, presentare i materiali tradizionali in maniera nuova, e in che modo? Perché in una regione è bastato declamare le proprie generalità in lingua straniera, e in un’altra c’è stato bisogno d’inventarsi all’impronta una lezione in lingua? Perché qui è stato chiesto cosa fosse un mouse e lì c’è stato bisogno di ripristinare i circuiti della scheda madre con del ciuingam, alla MacGyver?
Insomma, nelle prove alcuni candidati hanno disquisito di didattica, altri di disciplina, qualcuno di normativa e qualche furbetto della sua pluriennale esperienza in barba alla normativa teorica perché ogni commissione è stata un’isola felicemente indipendente, sulla quale i partecipanti per narrare la loro esperienza possono usare spesso i termini “fortuna” e “discrezionalità dei commissari”.
Ed è proprio questo il fattore mortificante: alla fine della giostra i vincitori sono dei fortunati e gli esclusi degli sfortunati! Ma molti dei vincitori del concorso, come me, sono comunque ancora disoccupati o precari a tempo indeterminato perché nella realtà non ci sono i posti banditi. E quelli esistenti vanno comunque divisi con le altre graduatorie esistenti. E nel frattempo i neoabilitati del TFA non vogliono più concorsi, ma graduatorie ad esaurimento, cioè l’assunzione automatica, mentre per i non abilitati inizieranno tra poco i PAS, percorsi abilitanti senza alcun tipo di selezione.
Difatti in Italia cosa accade di unico in Europa? Accade che con un concorso pubblico tanti “sprovveduti dilettanti” sbaraglino gli “ultraspecializzati tecnici” delle SISS che, però, perché inseriti nelle GaE un giorno entreranno -per diritto- comunque di ruolo.
Intanto a causa di scellerati accordi sindacali, detti specializzati non possono lavorare al di fuori della loro Provincia, pertanto anche in caso di bisogno, lo Stato li lascia a casa, utilizzando al loro posto quelli delle graduatorie di Istituto, i tappabuchi e gli incapaci, semplici laureati che non hanno mai superato\voluto superare nessuna preselezione né acquisire nessun titolo aggiuntivo. I quali, però, in base a una normativa europea, hanno diritto ad essere automaticamente abilitati dopo tre anni di lavoro a scuola.
Insomma, dopo questa esperienza la mia speranza che nel prossimo futuro si possa avere anche in Italia una più giusta ed efficiente selezione della classe docente si è definitivamente spenta. Il cancro politico-sindacale, che da decenni anima una fiera di illusioni sulle spalle della povera gente, è duro a essere sconfitto.
E mentre i docenti verranno – a ragione - ancora per molto tempo additati a scherno da larga parte dell’opinione pubblica, perché gli incapaci troveranno sempre un modo per infilarsi sul carrozzone, la macchina amministrativa sarà sempre più ingolfata da rivendicazioni incontentabili e purtroppo chi ne pagherà veramente le conseguenze saranno i nostri nipoti.
Giuseppe Verde