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Futebol, mundial e servitù volontaria: meglio maiali o mattoni?
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- Categoria: Politica e società
- Pubblicato Domenica, 22 Giugno 2014 20:38
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – In molti si sono chiesti, anche prima dell’inizio dei mondiali in Brasile, il perchè di un evento paradossale: il popolo che ha fatto del calcio una religione, e dello stadio Maracanà un tempio, si mobilita contro la maggiore manifestazione di calcio casalingo. E lo fa in modo così deciso, duro e diffuso che il governo deve mandare in campo le forze anti sommossa le quali, com’è noto, sono tra le più agguerrite e meglio preparate in tutto il mondo.
Il Bathalao de Policia de Choque e il BOPE (quest’ultimo famoso per un bellissimo film del 2007) sono stati ripresi mentre punivano severamente la popolazione brasiliana che manifestava - indios dell’Amazzonia, penne e frecce compresi (nella foto in basso, a Brasilia). Eppure qualche cronista italiano ha censurato in maniera stizzita e seccata queste manifestazioni di piazza, come fossero degli intralci, dei fastidi che i brasiliani provocavano al traffico e agli impegni della routine di un giornalista sportivo.
E tutto per il “banale” e inopportuno capriccio di ottenere miglioramenti nell’i istruzione, sanità, edilizia e trasporti di fronte a 13,5 miliardi di dollari (secondo il portale del governo brasiliano) o 48 (secondo i calcoli di una ong locale) spesi per i mondiali e contrastare l’inasprimento delle tariffe dei generi di prima necessità applicato dal governo per ammortizzare la spesa.
Notizia scandalosa che Pelè sia arrivato in ritardo alla partita Brasile-Messico a causa il traffico paralizzato dalle manifestazioni. Ma quello che accade dentro lo stadio è tanto più vitale di quanto accade fuori? Non può essere così o, almeno, lo è in maniera diversa. Sarà per questo che lo schermo gigante non inquadrava mai la presidente Dilma Rousseff – pur membro del Partido dos Trabalhadores - per il timore di fischi e altri segni di insofferente disapprovazione.
Non che i brasiliani abbiano preso a odiare il calcio, questo è poco probabile. Certamente odiano di più il governo che spreca risorse e li tiranneggia e quindi hanno colto l’occasione di una visibilità mondiale per esprimere e mostrare un profondo dissenso, anche a costo della propria pelle, un dissenso “mundial”.
Ma la cosa sorprendente è che il Brasile, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non naviga in cattive acque: recenti indagini statistiche dimostrano che tra il 1991 e il 2010 c’è stato un consistente miglioramento della vita in Brasile. Il reddito pro capite è quasi raddopppiato, la scolarizzazione è quasi triplicata, l’aspettativa di vita è aumentata di nove anni nell’ultimo ventennio. C’è stata anche una notevole redistribuzione delle risorse. Eppure si protesta.
E allora? È triste notare che alcuni giornalisti italiani non capiscano. Infatti costoro appartengono a una popolazione che non protesta. In Europa la gente quasi non vota più. Gli osservatori politici dicono che la crisi in atto è imputabile a un “deficit democratico” e che questo autorizza le classi dirigenti a insistere nei loro errori beffandosi degli standard minimi richiesti. Di fronte a tanti anni di tanto estesa corruzione, evasione fiscale, mafia e ritardi nelle riforme, in Italia la popolazione sembra ormai narcotizzata, assuefatta al letargo.
Allora l’interrogativo è doppio: perché in Brasile, dove si sta meglio, si protesta e invece in Italia, dove si sta sempre peggio, non lo si fa?
E la risposta è duplice: in Brasile si protesta perché lo stato è in ripresa, la gente comincia a vedere cosa vuol dire stare bene, ha voglia di lottare e disubbidire per ottenere un livello di vita migliore, un più solido benessere che ha cominciato ad assaggiare e apprezzare. Lotta perché vede una serie di obiettivi primari da acquisire o migliorare. E se ne assume i rischi, anche fisici.
In Italia no. In Italia accade quanto scrisse e descrisse il filosofo umanista Ètienne de la Boétie con il concetto di “servitù volontaria”: il potere di chi governa deriva sempre dalla compiacenza di chi lo permette, di chi ha imparato – come Mitridate con il veleno – “a trangugiare la sostanza letale della servitù senza trovarla amara”.
Eccetto qualche disobbedienza civile, tutto sembra scorrere senza guizzi. Sembriamo trangugiare tutto senza stare troppo a considerare cosa e perché. La protesta e la disobbedienza contemplano troppi impegni e troppi rischi. Evidentemente, al contrario che in Brasile, il rapporto tra guadagno e perdita è sfavorevole.
Sarà per questo, per questa capacità di inghiottire qualunque boccone e di esserne appagati, che la stampa anglosassone coniò, già negli anni ’90, per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna l’acronimo PIGS che in inglese vuol dire “maiali”. Gli stati poco competitivi, con alto debito publico, Pil disastrati e deficit commerciali sono maiali soddisfatti di qualunque boccone, pronti a essere cotti e spolpati.
Invece il Brasile – con Russia, India e Cina – fa parte del BRIC, che suona come “mattone”. Già meglio.
[Roberto Calogiuri]