Economia
Intervista a Eugenio Benetazzo: “per rilanciare l'economia serve effetto shock sulla spesa pubblica”
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- Categoria: Economia e mercati
- Pubblicato Sabato, 19 Luglio 2014 17:08
- Scritto da Tiziana Melloni
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Pordenone - Una crisi annunciata che dura ormai da sei anni; un Paese, l'Italia, sommerso da un debito pubblico che ha sfondato il tetto dei 2000 miliardi, con una crescita economica che nel migliore dei casi sarà zero ed una tassazione da record. E, dalle nostre parti, un “modello Nord Est” in profondo rosso.
È possibile uscire dal tunnel? Ne parliamo con l'economista e gestore di portafogli Eugenio Benetazzo, nato a Sandrigo (Vicenza) nel 1974, residente da 10 anni a Malta e spesso in giro per l'Italia per partecipare ad “Agorà” ed altri talk show televisivi.
L'economista è anche frequente ospite di conferenze ed incontri organizzati da associazioni commerciali ed imprenditoriali del Nord Est.
Nel 2006 Benetazzo ha scritto un saggio dal titolo “Duri e puri. Aspettando un nuovo 1929”, in cui spiegava come si dovessero “salvare i propri risparmi e sopravvivere a un mutamento di scenario epocale senza precedenti”.
Nel 2007 ha pubblicato “Best before. Preparati al peggio”; nel 2009 “L'economia allo sbando” e “Bancarotta, se conosci puoi scegliere”. Nel 2011 esce “Era il mio Paese”. Nel 2012 è la volta di “Neurolandia: Aspettando la fine dell'euro”.
Ora Benetazzo sta preparando un altro saggio: “La crisi infinita”, con un capitolo dedicato al Nord Est intitolato “Il modello del Nord Est è finito”.
Chi è in prima linea nell'economia reale, i commercianti, ci raccontano ogni giorno che, nonostante gli annunci del governo, la crisi continua e, anzi, nel 2014 la gente compra ancora meno dell'anno scorso. Cosa ne pensa?
Gli attori economici sul territorio si stanno accorgendo che più che ad una crisi oggi stiamo assistendo ad un conflitto economico planetario. Le informazioni sul reale andamento dell'economia, in Italia, sono oscurate, se non censurate. L'attuale governo naviga a vista e comunque chi regge effettivamente il timone non è certo Renzi ma il ministro dell'economia Padoan. Renzi è solo l'uomo di facciata, che deve piacere ai media: ma a 6 mesi dal suo insediamento sta mostrando la corda. Le riforme che il governo pensa di varare non cambieranno il destino economico del nostro Paese: sono solo operazioni di lifting.
Quali potrebbero essere le vie d'uscita?
Per rilanciare l'economia del nostro Paese occorre prima di tutto contenere il debito pubblico. Tra gli anni ’70 e ’90 chi ha governato ha dato tutto a tutti. Anche se è evidente che l'emorragia deve fermarsi, negli ultimi 3 anni il debito è ulteriormente cresciuto del 10%.
È imperativo: l'orologio del debito si deve fermare ed invertire il senso delle lancette. È gravissimo che gli ultimi 3 governi, presentati come panacea, non ci siano riusciti. È necessaria un'operazione da effetto shock: un taglio di 120-130 miliardi di Euro della spesa pubblica.
In questo modo si potrebbero ridurre le tasse? E come pensa che si potrebbe realizzare tale “cura shock”?
La pressione fiscale serve per coprire i costi enormi del meccanismo di consenso elettorale creato negli ultimi 30 anni. Per dare ossigeno alle imprese è indispensabile abolire l'Irap e la Tares e diminuire del 10% l'Ires. Diversamente, la redditività e la competitività delle nostre imprese continueranno a scendere. Si può invece incidere sull'ultimo e penultimo scaglione dei redditi personali.
Su quali categorie di spesa pubblica interverrebbe?
Ci sono capitoli di spesa più che raddoppiati negli ultimi 10 anni, come la spesa sanitaria e quella degli enti locali. Per risparmiare risorse si parla di abolire le Province, ma – da un punto di vista amministrativo - bisognerebbe abolire le Regioni. E al loro posto creare delle macroaree. Nel nostro Nordest, un unico distretto potrebbe accorpare Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.
A suo avviso l'Italia dovrebbe uscire dall'Euro?
L'Euro è stato un salvagente. Ha mitigato gli effetti della crisi in Italia e ci ha protetto da fenomeni di inflazione e speculazione. Non possiamo dare la colpa di tutto all'Euro, quando invece è stata responsabilità dei governi non avere mai avuto il coraggio di tagliare la spesa in modo drastico.
La disoccupazione sta raggiungendo livelli insostenibili. Quali possibili vie d'uscita?
L'occupazione va resa dinamica e competitiva. Il Italia abbiamo tre “Moloch” che bloccano tale processo: i sindacati, le tasse, la burocrazia. Le nostre imprese vanno rese più competitive, va creato un ambiente favorevole all'investimento anche per i capitali stranieri. Invece, accade il contrario: tante aziende del Nord Est delocalizzano la loro attività.
A proposito della spesa pubblica, si parla molto di diritti acquisiti. È in corso un conflitto tra diritto ed economia, tra diritti acquisiti e spesa eccessiva?
Il punto è che non tutti i diritti acquisiti sono “intoccabili”, ma solo alcuni. Le faccio un esempio: nel 2011 era stato concordato che chi avesse prodotto energia con fonti rinnovabili avrebbe avuto un rendimento di 30 cent a Kilowattora. Ora, col decreto “spalma incentivi”, lo Stato abbassa il rendimento a 24 cent. Per le imprese che avevano basato i loro piani finanziari sulle cifre del 2011, questa è un'autentica catastrofe, un cambio di scenario imprevisto che non permetterà alle imprese di rientrare dall'investimento. Dall'altra parte invece si invocano diritti acquisiti su vitalizi dei politici e pensioni d'oro. C'è una discriminazione non accettabile.
Esiste un ulteriore conflitto: impresa contro politica?
Restando nel campo dell'investimento nelle energie rinnovabili, un campo che conosco bene, le imprese del settore sono state stigmatizzate – anche sulla stampa – perché chi ha investito in questo campo ha voluto trarne un guadagno. È ovvio che un imprenditore punti al profitto! L'impresa è criticata e penalizzata, la politica no. La realtà è che si è creata in Italia una lobby della comunicazione, che è in mano al Centro Sinistra.
Le famiglie italiane stanno stringendo la cinghia. Ma qual è il limite minimo per una vita decorosa, nel nostro Nord Est, per una famiglia con due figli?
Al netto della spesa per la casa, direi almeno 2500 euro. L'aumento dell'Iva al 22% ha inciso pesantemente sui prezzi per il consumatore finale ed ha creato un circolo vizioso andando a colpire famiglie ed imprese. Le famiglie non spendono, le imprese non vendono. C'è poi una pressione fiscale – aumentata – non più controbilanciata dai classici risparmi di famiglia in titoli di Stato – tassati anche quelli. La tassazione delle rendite in realtà ha colpito quasi esclusivamente i piccoli risparmiatori: una vera “purga”. I soggetti detentori di grandi patrimoni hanno già attuato operazioni per difendere le loro rendite.
Molte risorse sono fuggite all'estero.
Dei circa 200 miliardi di capitali occultati in Svizzera, circa la metà sono importi che fanno capo a piccoli imprenditori italiani. Si potrebbero far rientrare con una politica di investimento condizionato, quale ad esempio la clausola di detenere il denaro per un certo tempo in titoli di Stato.
Infine, una ricetta per il nostro Nord Est?
Nel mio prossimo libro ci sarà un capitolo intitolato “Il modello Nordest è finito”. Un modello che aveva come motto “piccolo è bello” e che, da risorsa, si è trasformato in un incubo. La nostra terra ha una forte vocazione alla microimprenditorialità. Ci sono entusiasmo e capacità autentiche, ma bassa competenza manageriale e poco apporto di capitale.
Queste imprese sono inadatte alla competizione internazionale. Se crolla il mercato interno, è la fine. Come rimedio alla sottocapitalizzazione c'è la banca e nient'altro, e questo è gravissimo. La media europea di ricorso a credito bancario per le imprese è del 45%, le nostre imprese invece per un buon 95% hanno come partner finanziario solo la banca.
Serve aprire altri canali: il capitale privato, le associazioni tra imprenditori. La condizione è che l'impresa sia disposta ad aprire le porte ad altri investitori.
Gli imprenditori invece sono “gelosi” della loro attività e piuttosto che mettersi insieme rinunciano a grossi affari. Le faccio un esempio: durante una degustazione di vini in una cantina, un buyer asiatico si disse disposto ad acquistare 25mila bottiglie l'anno. L'azienda in questione ne produceva 5000 quindi rifiutò.
Se si fosse associata con altre imprese vicine, il business sarebbe andato in porto con vantaggio di tutti. Invece la reazione fu: “ma come vuole che io mi vada a mettere insieme con quelli là?”
Il nostro sistema genera continuamente “eccellenze” perché c'è una concorrenzialità fortissima; d'altro canto, solo poche di queste “eccellenze” fanno veramente profitti. Tutti sono convinti di essere i più bravi a fare un certo prodotto, ma così sono condannati a restare dei nani e il territorio non cresce.