Pino Cacucci a Trieste con il suo ultimo libro “Nessuno può portarti un fiore”

Pino Cacucci a Trieste con il suo ultimo libro “Nessuno può portarti un fiore”

Trieste - Pino Cacucci (1955) è sceneggiatore, traduttore, saggista e narratore versatile e fecondo. Ha una profonda passione per il Messico. È, per lo meno, noto ai cinefili per aver ispirato a Gabriele Salvatores il film “Puerto escondido” dal suo romanzo del ’90, ad Alessandro Cappelletti il film “Viva San Isidro” l’anno successivo e per aver partecipato alla sceneggiatura di “Nirvana”.  L’ultimo suo libro, “ Nessuno può portarti un fiore”, (Feltrinelli, pagg.205, €14,00)  è stato presentato a Trieste il 19 settembre scorso presso la sede del gruppo Germinal. Sala gremita, pubblico in piedi, atmosfera informale e accogliente, che si è surriscaldata quando la presentazione è diventata dibattito.

Qualcuno degli intervenuti ha sollevato la questione della moralità in letteratura, rimproverando a Cacucci la mancanza di una direzione etico/didattica. Ma l'autore si è difeso invocando la funzione ricettiva della creazione artistica per la quale ogni opera può essere fruita come meglio può e crede il lettore - che può anche rifiutarsi di leggere - al di là dell’istanza morale.

Per la precisione, il romanzo è un insieme di racconti e ognuno descrive un personaggio di quelli che piacciono a Cacucci: ribelli, anarchici, audaci e anticonvenzionali fino al sacrificio di sé e degli altri, e perciò vittime e carnefici in una società repressiva. E allora, dopo un’attenta collezione delle fonti, Cacucci ci racconta di persone comuni che le coincidenze della storia costringono a gesta distruttive, ma anche all'espiazione e, in alcuni casi, alla redenzione. Presenta la sua galleria di uomini e donne alla maniera romantica, celebrando la loro semplicità o le umili origini, rendendoli attori di altrettante commoventi tragedie che sarebbero rimaste nell’oblio.

E così, dagli interstizi del passato in cui erano relegati, iniziando dal crinale tra ‘800 e ‘900 per arrivare a ridosso dei giorni nostri, si materializzano sette vite sciagurate. Quella di Sante Pollastro, l’amico di Girardengo, il bandito della canzone di De Gregori, spina nel fianco di Benito Mussolini, simbolo della ribellione al fascismo entrante. Poi Edera De Giovanni, fiera e coraggiosa, torturata e fucilata a ventuno anni per essere stata animatrice della resistenza e per aver taciuto i nomi dei suoi compagni. Oppure Sylvia Ageloff, tradita dall’uomo che adorava, “usata nella carne e nello spirito” da colui che finse di amarla per insinuarsi nella cerchia degli amici di Trockij e assassinarlo.  E poi c’è Clément Duval, anarchico rivoluzionario francese, oppositore del nascente capitalismo industriale, processato, condannato a morte e spedito nella Guyana da dove tentò di evadere una ventina di volte, finché vi riuscì 1901. Ancora Antonieta Rivas Mercado, tra le prime suffragette, mecenate di Frida Kahlo, amica di Tina Modotti e Garcia Lorca. È lei la donna a cui nessuno può portare un fiore perché, suicidatasi con una pistolettata al cuore a Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, fu seppellita in una fossa comune. Poi Louis Chabas, proletario ebreo francese, il cui cane sapeva fiutare i “nazi”, che lottò per liberare le Langhe dai tedeschi,  tanto abile nel travestirsi che, camuffato da ufficiale tedesco, fu ucciso da un partigiano che non lo aveva riconosciuto.  E infine Horst Fantazzini, il ladro gentile, rapinatore sì ma rigorosamente con pistole giocattolo, per non cadere nella tentazione di fare del male. Colui che regalò un mazzo di fiori a una cassiera per scusarsi dello spavento inflittole durante una sua rapina. Fantazzini muore nel 2001, proclamandosi innocente fino alla fine, non prima di aver citato a propria difesa la famosa frase di Brecht: “È più criminale fondare una banca che rapinarla”. 

E con lui si conclude il giro di anti-divi anticapitalisti. Sette storie di uomini e donne che hanno lottato, consapevoli oppure no, contro il capitalismo del denaro e dei sentimenti per affermare la loro umanità, ed è giusto che siano ricordati. E non è difficile che accada grazie alla penna di Cacucci, che ancora una volta non disattende quanto Fellini disse di lui: “è un artigiano, un costruttore di trame, di atmosfere e di personaggi”. Di più: è anche prosatore chiaro e lineare, con una lingua semplice e immediata, uno stile diretto e vivace che conquista e penetra fin dalle prime parole. Insomma: uno di quegli scrittori che sanno stare dietro ai propri personaggi, rinunciano all’egotismo per lasciare che  crescano e vivano di vita propria. Così essi diventano inconsapevoli e sfortunati eroi di una mitologia quotidiana e tratteggiano un passato che la storia ha visto, ma la storiografia ufficiale non ha mai raccontato. E questo è un bene o un male?

Pino Cacucci, Nessuno può portarti un fiore, Feltrinelli, pagg.205, €14,00

[Roberto Calogiuri]

 

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