Con “Joselito” la diversità può vincere

Con “Joselito”  la diversità può vincere

Trieste – Ieri alle ore 22.15 presso l'Auditorium del Civico Museo Revoltella èstato proiettatato il film “Joselito”, in concorso nella sezione Ufficiale del 30o Festival del Cinema Latino Americano. Si tratta di una produzione cilena del 2014.

Largo ai giovani viene subito da pensare.  Pochi minuti prima della proiezione, a presentare il lavoro, c'erano il direttore del Festival, Rodrigo Diaz, e le due anime di questo film, la regista, Bàrbara Pestan Floràs, e la direttrice della fotografia e produttrice Javiera Vèliz, entrambe poco piùche trentenni.

Il film prende spunto da una storia realmente accaduta, un vicenda a tinte fosche, per la precisione un parricidio.

Siamo nell'isola di Aituy, un piccolo villaggio sull'isola di Chiloè. Si festeggia. Si celebra la festa di Gesùil Nazzareno.Joselito e suo padre, uomo senza nome, hanno deciso di non prendervi parte. Entrambe hanno subito una perdita, che li ha isolati, tanto nell'animo quanto nella realtà, per l'uno una madre, per l'altro una moglie; l'amore di una vita, si legge tra i silenzi che caratterizzano la figure del padre.

Il padre e il figlio sono inesistenti l'uno per l'altro, fardelli di una vita entro la quale nessuno dei due si riconosce più. Solo il fuoco della cucina e la legna, li vedono ancora uniti, in un muto dolore, troppo grande per trovare voce.

“Ito”e suo padre si allontanano sempre piùl'uno dall'altro, senza voltarsi indietro. Il dolore che li attanaglia nutre il rancore. 

Mentre i giorni della celebrazione si avvicendano, come una giostra, verso la festante processione finale; anche per queste due vite lacerate c'èbisogno di scrivere la parola fine. A vincere saràcomunque la vita.

Opera prima, vince detto dal pubblico presente in sala, e se cosìè, tanto di cappello: perchéla pellicola mostra  nelle immagini una volontàtesa alla ricerca cinematografica, tout court.

Quando sei giovane hai bisogno di immaginare che il diverso possa esistere, che tu lo possa prendere e mostrare a tutti.

Ricorda Paris Texas, di Wenders, la fotografia di questo film, alla ricerca solo di un'efficacia comunicativa. Emozionare attraverso l'immagine non èseplice, molti sono coloro i quali vi sono riusciti. Ma di fronte all'ennesimo tentativo, in un momento storico dove sembrerebbe che ci stiamo tutti arrendendo all'ovvio e al pensiero debole, vedere che la creativitàtrova proprio nella narrazione, una via d'accesso per la comprensione collettiva, al di làdi tutti i confini, èrivificante.

Tutto in questa pellicola, che non ha pretese, se non quella di raccontare una vicenda, èstudiato fin nel minimo dettaglio; èil risultato ènotevole. Non ottimo, ma mirabile, e quale miglior aggettivo per descrivere un film, se non questo?

La fotografia di Javiera Vèliz si concentra sul descrivere atmosfere: gli interni delle case, contrastano indelebilmente con le riprese degli esterni, ricche di luce fintanto da bruciare l'immagine.

La musica, invece, descrive i sentimenti dei personaggi: Diego Ridolfi, musicista e Ivan Gonzalez, tecnico del suono hanno lavorato di concerto, la musica compare sempre in relazione alla descrizione dell'umanitàche ancora abita i personaggi, mentre per il resto, i suoni sono solo quelli ambientali, crudi, che non lasciano scampo; e in questo ensamble il lavoro degli attori puòbasarsi sulla ricerca dell'infinitesimale, che cattura lo spettatore trasportandolo all'interno, della vicenda, dei personaggi, o di séstesso.

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