Marco D'Aviano, il frate che fermò i Turchi. Intervista a Renzo Martinelli regista di “11 settembre 1683”

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Pordenone - Renzo Martinelli, regista lombardo nato nel 1948, è celebre per i suoi film su tragedie e personaggi “rimossi” dalla storia e dalle cronache: le contraddizioni della Resistenza (“Porzus”, 1997), il crollo della diga del Vajont (“La diga del disonore”, 2001), il caso Moro (Piazza delle Cinque Lune, 2003), il terrorismo islamico (“Il mercante di pietre”, 2009).

Al di là delle sue convinzioni personali, legate all'idea dello "scontro tra civiltà", Martinelli affronta questi temi con un taglio documentaristico in cui però non manca il gusto dello spettacolo.

Lo scorso 11 aprile, a Fiume Veneto, Martinelli ha presentato al pubblico il suo nuovo film, “11 settembre 1683”, che racconta la storia – poco conosciuta – di padre Marco D'Aviano, il frate cappuccino che, con la sua azione persuasiva, riuscì a concentrare in un'unica grande armata le forze europee che nel 1683, alle porte di Vienna, fermarono l'invasione turca (qui la recensione del film).

Abbiamo raggiunto Martinelli per un'intervista.

Come nasce l'idea di “11 settembre 1683”?
Dodici anni fa eravamo sul Vajont per preparare l'anteprima del film “La diga del disonore”, un evento speciale dove il film si proiettava all'aperto sulla “pancia” della diga, per un pubblico di 1500 persone. Eravamo disperati perché pioveva in modo torrenziale. Uno dei presenti all'allestimento, l'imprenditore Diotisalvi Perin (ora presidente del museo del Piave, ndr), mi disse: “Abbiamo pregato Marco D'Alviano, domani non piove”, e così fu. A partire da quell'episodio mi incuriosii di questo personaggio, che non conoscevo, e così lessi il libro di Sgorlon “Il taumaturgo e l’imperatore”.

Dodici anni sono tanti. Come mai tutto questo tempo dall'idea al film?
Il progetto ha avuto una lunga storia. Per fare un documentario storico come questo c'è bisogno di un grosso investimento. Anzitutto acquistammo i diritti del volume di Sgorlon, quindi con Valerio Massimo Manfredi lavorammo alla sceneggiatura. Inizialmente ci rivolgemmo ad Austria e Turchia per una coproduzione, ma dopo varie vicissitudini la collaborazione non andò in porto. Invece la Polonia aderì al progetto, infatti la produzione è italo-polacca. Tre anni fa, finalmente, il primo ciak. La post produzione è stata particolarmente impegnativa, abbamo usato tecnologie digitali per la battaglia.

Come descriverebbe “11 settembre 1683”?
È il tentativo di raccontare una storia vera e a lungo rimossa, quella della guerra europea contro i Turchi in epoca seicentesca, in modo spettacolare, epico.

Progetti in vista?
Stiamo lavorando da tre anni ad un film-documentario sulla strage di Ustica, in cui alle tre ipotesi che sono state fatte per spiegare la tragedia – un attacco missilistico finito per errore sul DC9, un cedimento strutturale del velivolo, una bomba nella toilette di coda - ne suggeriamo una quarta, che ovviamente non anticipo... Il progetto è una coproduzione italo-franco-belga. Se tutto va bene, a giugno inizieremo le riprese.

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