"Me le digo e me le conto": il nuovo libro di Semacchi Gliubich alla Minerva
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- Pubblicato Lunedì, 13 Ottobre 2014 18:18
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Trieste – Mercoledì 15 ottobre alle 17.30, alla Libreria Minerva di via san Nicolò 20, verrà presentato il libro di Graziella Semacchi Gliubich "Me le digo e me le conto"pubblicato da Ibiskos editrice Risolo. Interverranno Marina Silvestri e Antonietta Risolo.
L'autriceGraziella Semacchi Gliubich, triestina, pubblicista, scrive da trent’anni e ha pubblicato libri di poesie in dialetto e italiano, di storia locale, saggi, ricette. Ha collaborato con il settimanale diocesano "Vita Nuova" per oltre un quarto di secolo, con la sede Rai di Trieste e con il quotidiano "Il Piccolo".
Con qualcheciacola le abbiamo chiesto qualche curiosità sul suo nuovo libro e non solo.
A cosa devi questo libro?
Lo devo, prima di tutto al fatto che la casa editrice Ibiskos me lo ha richiesto grazie al successo da “La vita xe un omlet” pubblicato dalla stessa nel 2003. E poi dalla mia inguaribile voglia di fare queste piccole notazioni sul mio vivere quotidiano. Il primo del genere risale al 1993 “Ciacole fra le pignate” e ancora “Zogar co' le parole” 2009, con altri editori. Tutti hanno avuto varie ristampe. Quindi ”Me le digo e me le conto” è il quarto della serie, segno che i lettori si divertono con le mie storielle. E io a scriverle.
A chi lo dedichi idealmente?
Inizialmente lo dedico alla mia famiglia, fonte continua di vita e d’ispirazione, come ci si accorge leggendo. E poi a tutti noi che viviamo in questa piccola porzione di mondo che ci vede accomunati da esperienze simili, giorno dopo giorno.
Nel tuo libro racchiudi ?
Racchiudo pensieri, esperienze, riflessioni , idee che sgorgano proprio dall’esistenza quotidiana, che dovrebbe guidarci sempre, il tutto condito con molta serenità e un buon pizzico di autoironia. All’insegna del 'buon riso fa buon sangue' ma senza chiudere gli occhi davanti alle difficoltà della vita, ci sono, si sa, ma cerco di affrontarle e superarle anche con il buon senso. Almeno spero di riuscirci.
Destinatari privilegiati i triestini...?
Come sai, a Trieste il dialetto è usato ancora oggi in quasi tutti gli ambienti: è la lingua materna, la lingua del cuore che, oltretutto, permette di esprimersi con maggiore espressività grazie alla coloritura frizzante tipica del famoso ‘morbin’ nostrano. Però essendo un dialetto comprensibile in una vasta area del Veneto, si rende fruibile anche oltre la nostra regione. Volevo anche dirti, sottovoce ma con un po’ di soddisfazione, che nel campo della preservazione dei dialetti, ho dato il mio contributo: credo infatti di essere la sola che lo scrive e lo pubblica da oltre trent’anni con continuità. La mia rubrica su Vita Nuova era molto seguita ed apprezzata ed è stato anche questo l’input per continuare.
Giornata mondiale della salute mentale: dove l’impossibile diventa possibile
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- Pubblicato Mercoledì, 08 Ottobre 2014 08:38
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Trieste - Venerdì 10 ottobre 2014, Giornata mondiale della salute mentale, “dove l’impossibile diventa possibile”. Si legge questo in “Non ho l’arma che uccide il leone” il libro scritto da Peppe Dell’Acqua, Premio Nonino 2014, rieditato dalle Edizioni Alphabeta Verlag per laCollana 180 – Archivio critico della salute mentale, che sarà presentato lo stesso venerdì 10 ottobre alle ore 20 a Trieste allo Spazio Villas nel comprensorio di San Giovanni. Il Piccolo sosterrà la diffusione del libro che, sempre a partire da venerdì, sarà in vendita nelle edicole di Trieste, Monfalcone e Gorizia a prezzo di lancio in abbinata al quotidiano.
E il “possibile” vedrà la città raccogliersi, venerdì sera, attorno a questa Storia - che ha fatto di Trieste un punto di riferimento in tutto il mondo nell’ambito della salute mentale – in una serata/evento/spettacolo, presentata da Massimo Cirri, la nota voce del programma Caterpillar di RAI Radio 2. Con lui e l’autore, saranno presenti numerosi esponenti cittadini del mondo politico, istituzionale, culturale, dell’associazionismo e della salute mentale, protagonisti, insieme ad alcuni attori dell’Accademia della Follia e della Contrada, di una “pazza” idea che li vedrà trasformarsi in inconsueti “lettori per una sera”: Onorevoli e Senatori, la Presidente della ProvinciaBassa Poropat, il Sindaco Cosolini, il neo Assessore alla Cultura del Comune di Trieste Tassinari, il Direttore de Il Rossetti Però, i quattro Direttori dei DSM della nostra regione, fino ai Presidenti triestini dei Giovani di Confindustria Cividin e Confcommercio Gelfi, solo per citare alcuni degli oltretrenta lettori della serata. Tutti insieme, per ricordare, a distanza di quarant’anni dall’apertura dell’allora Ospedale Psichiatrico, chequella di San Giovanni è una storia che appartiene di fatto a tutta la Città.
Non ho l’arma che uccide il leone è un libro testimonianza che raccoglie, come dice lo stesso sottotitolo “La vera storia del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni” e che si rivolge non agli specialisti, non ai tecnici, non agli storici, ma a tutti coloro che vogliono sapere e alle giovani generazioni. Pubblicato per la prima volta nel 1980 dall’Editoriale Libraria di Trieste, a poca distanza dall’approvazione della Legge 180, con una seconda edizione nel 2007 a cura di Stampa Alternativa, il libro conserva anche in questa terza edizione una presentazione inedita di Franco Basaglia, i disegni di Ugo Guarino e i contributi di Pier Aldo Rovatti e Franco Rotelli. Il volumesi compone di due parti. Nella prima, a margine dei 22 racconti, un appunto restituisce al lettore emozioni, nostalgie, memorie, riflessioni che vogliono rendere ragione di alcune circostanze in cui quegli eventi sono accaduti. Oltre cento i protagonisti di questa storia, narrata in modi e con spessore diverso, da una posizione completamente soggettiva. La seconda parte si compone di una cronologia anno per anno (dal 1971 al 1979), necessaria per una più ampia comprensione di tutta la vera storia, che restituisce un passaggio epocale nel quale i triestini sono stati, a vario titolo, protagonisti. Moltissimi giovani in quegli anni, frequentando San Giovanni, furono artefici e sostennero un cambiamento difficilissimo traghettando in città e portando sulle loro spalle “i matti di San Giovanni”.
Il libro è diventato sin da subito un classico della letteratura sul tema, tanto da costituire la traccia per un lavoro televisivo realizzato per RAI 3 nel 1981 e per la sceneggiatura della fiction “C’era una volta la città dei matti” andata in onda su Rai 1 nel 2010. Vista da otto milioni di telespettatori la fiction aveva come protagonista un Franco Basaglia, interpretato da un mirabile Fabrizio Gifuni, e presentata pochi giorni fa all’ Italia Film Festival di Berlino, dallo stesso attore con Dell’Acqua.
«Questa storia vorremmo restituirla, oggi, nelle sue pieghe e nei suoi minimi movimenti alla Città e a tutti quei cittadini che vogliono sapere» - sottolinea Aldo Mazza, direttore delle Edizioni Alphabeta Verlag di Merano, che ha scelto proprio dell’Acqua come Direttore della Collana 180 – Archivio critico della salute mentale. Una collana editoriale – giunta conNon ho l’arma al nono libro - che muove i suoi primi passi nel 2010 da Trieste per percorrere la vasta rete delle buone pratiche, incontrare la storia del cambiamento delle singole persone, raccontare le straordinarie imprese sociali che si sono sviluppate intorno alla questione psichiatrica.
«Non ho l’arma che uccide il leone racconta la storia di Giovanni, Rosina, Carletto, Nevio e di tanti altri internati, e poi dimessi dal manicomio triestino. Racconta la storia delle loro piccole e grandi rinascite, dell’uscita dall’anonimato, della liberazione, dell’emancipazione. Ho avuto la fortuna di partecipare a una storia che “ha cambiato il mondo”. Questo libro vuole restituire a chi legge, spero tanti giovani, studenti e operatori, un pezzo di quell’entusiasmo per provare a ricercare insieme il senso di quegli accadimenti» racconta l’autore Peppe Dell’Acqua, psichiatra e già direttore per 17 anni del DSM di Trieste.
Ogni storia di questo racconto è lacerazione e vita dentro la lacerazione. Ma è sopratutto la storia della costruzione e dell’invenzione di una “complicità”, dove le persone ritrovano i fili della vita e della memoria. Dove la sola arma per uccidere il leone o quanto meno tramortirlo, è il musiliano "senso della possibilità”: progettare, scegliere, desiderare, emanciparsi, riacquisire un’identità sociale che non sia quella del “malato di mente”. In questa narrazione nessuno recita a soggetto, le storie, si dilatano e si stemperano in un’ appartenenza che rompe i confini, contamina i ruoli, scardina il senso comune e gli automatismi semantici che lo sostengono. Scardina le equazioni con cui continuiamo a parlare di tutto questo.
Info: www.alphabetaverlag.it/180– Facebook/Collana180
Enrico Pavonello: cronaca e attualità nel Friuli del secondo dopoguerra.
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- Pubblicato Venerdì, 03 Ottobre 2014 15:31
- Scritto da Fabiana Dallavalle
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Con le sue immagini ha registrato i piccoli e grandi eventi della cronaca friulana del dopoguerra: dalla fiera di Santa Caterina, al disastro del Vajont, dalla “crocifissa di Masarolis”, alle partire dell’Udinese. Enrico Pavonello, romano di nascita, ma udinese di adozione, è stata una delle figure più importanti del fotogiornalismo regionale e nel trentennale della sua scomparsa (avvenuta il 25 ottobre del 1984), la Cooperativa Guarnerio, che sta gestendo e riordinando il suo archivio, ha deciso di ricordarlo con una doppia mostra e un libro a lui dedicato.
L’appuntamento è per il 6 ottobre, alle 18, al Salone del Quaglio di Palazzo Strassoldo a Udine (via Vittorio Veneto, 20) dove verrà presentato ufficialmente, alla presenza della sua famiglia, “Enrico Pavonello: fotografo di attualità” che racconta la sua vicenda umana e professionale, cercando di restituire l’atmosfera di un periodo straordinario della storia friulana, immortalato da Pavonello (per un trentennio fotografo del Messaggero Veneto) e di quelli che sono stati chiamati “i suoi ragazzi”, un gruppo di giovani fotografi che lavoravano nella sua bottega nella Galleria Alpi di Piazzale Osoppo.
In concomitanza, la Guarnerio ha organizzato anche una doppia esposizione dei suoi scatti (nella sede Unicredit di via Vittorio Veneto dal 2 ottobre fino al 2 novembre e nello spazio espositivo del Visionario, dal 7 ottobre al 2 novembre) che mostrano sì i fatti di cronaca e il delicato rapporto tra immagini e informazione, ma rappresentano pure una fonte di memoria e di ricordi sulla realtà di allora, in un Friuli in rapido sviluppo e straordinaria evoluzione sociale come fu l'Italia di allora . All’iniziativa hanno collaborato Unicredit di Udine, Centro per le Arti Visive Visionario – Mediateca Mario Quargnolo, Associazione culturale Interazioni e l’Archivio Fotografico del Consiglio Regionale del Fvg.
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