Preside in carcere. La dura legge della sicurezza nelle scuole

Preside in carcere. La dura legge della sicurezza nelle scuole

Trieste – Il verdetto è ormai definitivo: quattro anni di reclusione per l’ex preside Livio Bearzi, 55 anni, udinese. E poi l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e il risarcimento delle parti civili con una provvisionale di 200 mila euro.

Il fatto - I giudici della Cassazione sono stati inflessibili e rigorosi nel punire le gravi accuse scaturite dalla notte del terremoto aquilano del 6 aprile 2009 in cui persero la vita tre adolescenti.

Tre studenti del convitto di cui Bearzi era dirigente. E quindi il crimine si è configurato come concorso in omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Perché il dispositivo di legge al riguardo è chiaro: il dirigente è individuato come “datore di lavoro” e quindi ha la responsabilità delle misure di sicurezza adottate.

Invece è l’ente locale ad avere la responsabilità della manutenzione dell’immobile. E questo spiega la condanna a due anni e mezzo per Vincenzo Mazzotta, ex funzionario della Provincia, ovvero l’ente che aveva la disponibilità di quell’edificio scolastico.

Per finire, poiché le scuole (siano provinciali o comunali) sono parte dell’esercizio costituzionale dello Stato, il Ministero dell’Istruzione è stato condannato a risarcire le parti civili.

Il caso – Ma quello che fa discutere non sono le imputazioni contestate al dirigente scolastico o l’applicazione della legge che le punisce. È la legge in sé che suscita ampie critiche politiche dalla Lega a Sel, tanto che si sta organizzando una richiesta di grazia presso il presidente Mattarella sulla scia della solidarietà polarizzata attorno al preside udinese a cominciare dalla sua provincia di nascita.

Perché sembra illogico che un preside sia responsabile di un edificio più del legittimo proprietario. Oppure che debba scegliere tra un procurato allarme e il rischio di procurate lesioni, e tutto ciò a fronte di un patrimonio immobiliare che – come è ben noto – in Italia si trova in condizioni di degrado. Nella fattispecie, l’istituto dell’Aquila ha un’età di due secoli, particolare che lo colloca nella categoria dell’antiquariato oltre che nel centro storico del capoluogo abruzzese.

Le attenuanti – Eppure il professore Livio Bearzi si trova nel carcere di via Spalato a Udine dal 10 novembre.

Gli si contesta di non aver sottoposto la vecchia struttura a restauri. Di non aver redatto un piano per la sicurezza. Di non aver fatto evacuare l’edificio durante le scosse che avevano preceduto quella fatidica delle 3.32 del 6 aprile 2009. L’accusa è così indiscutibile da essere stata confermata anche nei due gradi di giudizio precedenti.

A nulla sono valse le giustificazioni addotte. Per esempio che in un anno e mezzo nessun dirigente avrebbe potuto sanare una situazione compromessa come quella trovata all’atto dell’insediamento di Bearzi. O che l’immobile, poiché vincolato dalla Soprintendenza, necessitava di autorizzazioni “anche soltanto per piantare un chiodo”. O che l’edificio aveva bisogno di restauri almeno da 30 o 40 anni. O di essere stato fuorviato dalle garanzie della vecchia Commissione grandi rischi. O, ancora, di non avere avuto i poteri per chiudere l’istituto.

Niente è servito a giustificare la posizione di Livio Bearzi. Perché?

Dura lex sed lex – Con la qualifica dirigenziale, coloro che erano chiamati “presidi” diventano titolari di tutti i poteri di gestione di un’istituzione dotata di personalità giuridica e quindi di diritti, doveri e responsabilità. I dirigenti non acquisiscono solo responsabilità organizzativa, amministrativa, finanziaria e didattica, ma anche la legale rappresentanza dell’istituzione scolastica. Quindi la responsabilità penale diviene personale.

Con la riforma Brunetta del 2009, il dirigente scolastico diventa un vero e proprio datore di lavoro pubblico e di conseguenza responsabile della salute e sicurezza nelle scuole, aspetti che ricadono nell’ambito del “Testo unico della sicurezza sul lavoro” con la specificità del settore scuola. Ciò prevede una serie di obblighi non delegabili e di cui il dirigente risponde in prima persona.

Questi obblighi prevedono (tra i tanti) la valutazione dei rischi e l’elaborazione di un documento di valutazione dei rischi; l’elaborazione di un piano di emergenza, di procedure di evacuazione con le relative esercitazioni; la nomina di un responsabile per la prevenzione e protezione; l’aggiornamento delle misure di prevenzione e di evacuazione; misure per il controllo delle situazioni di rischio, tanto per citare gli articoli più significativi.

In sostanza la legge impone ai dirigenti di individuare e valutare i rischi in rapporto alla situazione ambientale specifica e di predisporre tutti i dispositivi necessari a scongiurare gli infortuni di qualunque natura. Il tutto deve essere scritto, documentato, conservato a cura del dirigente e aggiornato periodicamente.

Per quanto riguarda gli interventi strutturali e di manutenzione degli edifici, risulta chiaro che un dirigente non ha la disponibilità giuridica dell’immobile che, nel caso di Bearzi, era della Provincia. Quindi, quanto il dirigente è tenuto a fare, è di trasmettere una richiesta formale all’ente di competenza di provvedere agli interventi di manutenzione.

Ma nemmeno in questo caso il dirigente è al sicuro. Perché in caso di inerzia dell’Amministrazione e di situazione di pericolo grave e immediato, è dovere del dirigente di attivarsi e adoperarsi tempestivamente con ogni misura – compresa la chiusura dell’edificio o l’evacuazione - per tutelare lavoratori e allievi.

Se si considera che, negli ultimi mesi, il territorio aquilano era stato interessato da un centinaio di scosse - una ventina delle quali tra i 2 e i 3.9 gradi della scala Mercalli - e che nella sera del 6 aprile 2009 era stata avvertita una scossa alle 22.45 e un'altra leggermente inferiore a mezzanotte e quaranta, tanto che molti cittadini erano già in strada sebbene non fossero stati segnalati danni a persone o cose, si può immaginare perché i giudici abbiano ritenuto di applicare la legge.

Che poi la legge debba o possa essere modificata, è una questione politica.


[Roberto Calogiuri]

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