La Buona Scuola/1 – Non è tutto oro quel che riluce

La Buona Scuola/1 – Non è tutto oro quel che riluce

TRIESTE – È difficile, al momento attuale, riuscire a rendersi conto dei cambiamenti cui la nostra società è sottoposta. Troppi rivolgimenti e in troppi settori della vita. Ma, per quanto riguarda la scuola, la situazione ha un aspetto anomalo.

A prima vista, il documento “La Buona Scuola” si propone – o almeno tenta - di fare chiarezza e di fare progredire una condizione che da tempo immemorabile si trascina senza che i governi riescano a dare una sistemazione organica definitiva e soddisfacente per studenti, docenti, personale ATA e genitori.

136 pagine, dunque, per chiudere una questione drammaticamente aperta, per rimettere in piedi un’istituzione che investe interessi economici, sociali e politici ormai non soltanto nazionali ma che ha risvolti, come dimostra l’introduzione forzata del test Invalsi nelle scuole (qui il collegamento al servizio), anche europei.

136 pagine che rinchiudono un progetto talmente vasto e articolato da apparire persino insufficienti rispetto alla mole dell’obiettivo fissato. A maggior ragione perché, come dicono gli stessi estensori, questo documento è il frutto di un lavoro durato neanche due mesi. Due mesi sono pochi, a meno che non si prenda per buona la dichiarazione dell’on. Gelmini che rivendica la maternità delle linee guida dell’operazione.

In ogni caso, vi sono troppi argomenti per essere analizzati in una sola riflessione. Perciò, in questa prima puntata, si potrebbe iniziare, per esempio, con il tasto dolente della retribuzione dei docenti che, come è noto e come tutti i ministri sottolineano, è tra le più basse d’Europa ma per buona parte dell’opinione pubblica è fin troppo alta. Perciò è tra i punti forti del progetto “La Buona Scuola”.

Il nuovo meccanismo, infatti, prevede un aumento di 60 € mensili (che “sembrano”essere netti) ogni tre anni. Ma di questo aumento beneficerà il 66% dei docenti, a condizione che questi osservino alcune procedure per acquisire “crediti” (il che occuperà una riflessione a parte), e così per ogni triennio successivo.

Nell’ipotesi migliore in cui un docente riesca ad acquisire crediti durante ogni triennio della sua carriera, egli avrà un numero massimo di 12 scatti triennali per un totale di 720 €. Questo accadrà dopo 36 anni di servizio.

In sostanza, molto meno di quanto prevede la progressione di carriera attuale con gli scatti che premiano l’anzianità professionale. Lo stato risparmia perché da questo dispositivo rimane fuori il 33% di docenti che, se volesse ottenere per sé l’aumento di 60 €, dovrebbero sottrarre ad altrettanti colleghi la possibilità di raggiungerlo.

In questo modo il governo porterebbe la scuola pubblica entro il meccanismo del “premio di produzione”, ossia entro un profilo di tipo privato.  Inoltre otterrebbe una serie di vantaggi a danno dei docenti: risparmiare sulla retribuzione degli insegnanti, che rimarrebbe quindi ampiamente di sotto alla media europea. Quindi rallentare la progressione di carriera: per esempio, un docente cui spetti lo scatto a settembre 2016 (circa 140 €) e che attende dal 2009, non lo otterrà mai. Potrà solo aspirare allo scatto dei 60 € ma solo dal 2018. Ciò vuol dire che per nove anni il suo stipendio rimarrà fermo senza che possa mai più recuperare la perdita.

E di conseguenza tutto ciò creerebbe un sistema concorrenziale e un clima competitivo molto forte all’interno di un sistema, come quello scolastico, il cui buon funzionamento si fonda in gran parte sulla collaborazione e l’interazione armonica tra colleghi.

Si aggiunga che il documento – per giustificare questa manovra - fornisce i dati stipendiali attuali sul personale della scuola che riportano cifre mai percepite effettivamente da alcun docente. Dati che sono perlomeno ingannevoli: infatti le tabelle che riportano le posizioni economiche dei docenti hanno un asterisco in basso a destra che precisa: “I compensi riportati sono lordo Stato”.

Ma pochi sanno che il “lordo Stato” – detto anche “onnicomprensivo” - è il costo totale del dipendente, vale a dire l'ammontare del “lordo dipendente” (che è quello riportato sul CUD) sommato a tutti i contributi che sono a carico dell’amministrazione o del datore di lavoro (grossomodo il 30% del lordo dipendente).

Nello stesso tempo nella “Buona Scuola” si dimentica di precisare che il potere d’acquisto degli stipendi della pubblica amministrazione ha subito una forte svalutazione anche per effetto del blocco degli stipendi. E che, come si nota nel prospetto in basso, tutti gli stipendi del comparto scuola hanno subito un regresso tra il 29% e il 33%, eccetto quelli dei dirigenti scolastici, ovvero i presidi, che hanno un trattamento economico non intaccato dall’inflazione e, in miusura minore dei direttori dei servizi amministrativi.

Evidentemente il governo vuole tenere dalla propria parte l’ultimo anello della catena gerarchica che, per resistere, dovrà essere sempre più fidelizzato con uno stipendio alto e motivato nell’applicazione delle indicazioni contenute in questo progetto. Perché principalmente ai presidi spetterebbe la scelta di quel 66% di docenti meritevoli dell’aumento

                                                                                                                                                                       1 – continua

La buona scuola/2

La buona scuola/3

La buona scuola/4

[Roberto Calogiuri]

(In basso: tabella retributiva. Fonte cespbo.it)


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